venerdì 6 settembre 2013

L'ingrediente della settimana

Sempre a causa della preparazione atletica ed intestinale al Festival delle Sagre di Asti ormai incombente (Sabato sera), ho deciso per questa settimana di non visitare nessuno spanzificio cinese.
 
Per farmi perdonare, e per dare una continuità al blog, questa settimana proverò non una ma due ricette tradizionali cinesi.
 
La prima è stata la deludente ma vegana insalata di kombu, la seconda ricetta è quella per la quale pubblico l'ingrediente di oggi. Stasera i miei rassegnati familiari la mangeranno e domani, se saranno ancora vivi, pubblicherò il resoconto dell'esperimento.




E' una ricetta di terra, pur essendo originaria di una provincia la cui storia è stata influenzata notevolmente dal mare, fino a questo secolo. Rappresenta il contributo alla gastronomia cinese di una minoranza etnica che ha costruito, a partire dal Medioevo, curiosi insediamenti fortificati.








A domani con la ricetta!!!   -    明天!!!

martedì 3 settembre 2013

Liang Ban Hai Dai (Insalata di kombu al sesamo) - 凉拌海带

Premessa doverosa: né io nè l'altro autore di questo blog, siamo vegani, vegetariani od astruserie simili. In particolare, al sottoscritto stanno particolarmente sugli zebedei. Perché ho aperto questa parentesi polemica ad inizio post? Perché il piatto di oggi (sia chiaro, una rarità in queste pagine) accontenta anche gli stomaci scompensati delle categorie di cui sopra.

Qualche giorno fa sul gruppo Cucina Cinese di Facebook una ragazza chiedeva la ricetta di un'insalata di alghe che aveva mangiato nel suo cinese di zona. Non avendo mai mangiato le alghe in versione asciutta, ma sempre in minestra, mi è venuta la curiosità di cercare informazioni su internet, che confermassero l'esistenza di insalate di alghe cinesi. Ce ne sono di diversi tipi, piatti freddi con il pollo, il maiale e alcune varietà di cavolo che però sono fuori stagione in questo inizio Settembre particolarmente caldo. Scartabellando i siti cinesi ho trovato questa bella ricetta della provincia di Liaoning, estremo nord-est della Cina, quasi Siberia. È una delle più basiche, più casalinghe se vogliamo, dove il salmastro dell'alga è temperato dall'aglio e dal sesamo.

In questa area, dove per motivi climatici, geografici e storici sono più pesanti le influenze giapponesi e coreane, l'uso disinvolto dell'aglio e del cipollotto dona un'inconfondibile sfumatura piccante alla cucina locale, ricca di pesce ed, appunto, alghe. La storia della coltivazione (non del consumo, attestato principalmente a scopo curativo sin dal IX secolo a.C) delle alghe in Cina inizia agli inizi del secolo scorso, proprio nel principale porto del Liaoning, Dalian, all'epoca sotto occupazione giapponese. Il kombu venne introdotto per sbaglio da un rimorchiatore giapponese nel 1925 e da allora i cinesi sperimentarono con successo le tecniche di acquacoltura, già utilizzate da secoli ad Hokkaido.

L'edificio eclettico nella foto che ho pubblicato ieri è la vecchia sede della Yokohama Specie Bank e fa parte del circuito degli edifici storici di influenza russa e nipponica di piazza Zhongshan.

Una considerazione sulla scelta delle alghe. Le alghe sono dei filtri d'acqua marina eccezionali; questo se da un lato le rende delle bombe di sali minerali e iodio, dall'altro le trasforma in spugne di agenti inquinanti se il tratto di mare in cui sono coltivate è sporco. Quindi, se potete scegliere scegliete del kombu/kelp coltivato in Europa (le zone tradizionali di produzione sono le coste bretoni e quelle gallesi), oppure come seconda scelta quello che proviene dalle acque gelide ed incontaminate di Hokkaido in Giappone. Mai e poi mai comprate del kombu che arriva dalla Cina, Paese in cui le politiche di tutela ambientale in ambito marino sono a dir poco carnevalesche.
 
~

Liang Ban Hai Dai (Insalata di kombu al sesamo) - 凉拌海带


Dosi per 4 persone

40 gr di alghe kombu secche, 1/2 spicchio d'aglio, 1 cipollotto (solo la parte verde), 1 cucchiaio di olio di semi, 1 cucchiaio di salsa di soia, 2 cucchiai d'aceto di riso, 2 cucchiaini d'olio di sesamo, 1 cucchiaio di semi di sesamo bianchi, 1 cucchiaino di zucchero, pepe nero

~

Pulite le alghe secche e mettetele a bagno in una ciotola d'acqua fredda per almeno 3-4 ore (non due ore come ho fatto io al primo tentativo, maledette istruzioni!).
 
Dopo averle scolate, arrotolatele a cilindro e poi tagliatele a spaghettoni larghi mezzo dito (o più sottili ancora, a julienne). Portate a bollore una pentola d'acqua e scottatevi le alghe per qualche minuto. Da quando riprende il bollore contate due minuti e spegnete la fiamma. Fate raffreddare le alghe in una terrina.
 
Tritate finemente il verde del cipollotto e tagliate a fettine sottili l'aglio. Metteteli in infusione per dieci minuti in una salsa preparata sciogliendo lo zucchero ed una macinata di pepe nero nell'olio di semi, nell'olio di sesamo, nell'aceto e nella salsa di soia. Mescolate bene tutto e condite con questa marinata le alghe. Per ultimo, cospargete con un pizzico di semi di sesamo bianchi e portate in tavola.
 
Nonostante a me non sia piaciuta, la ritengo comunque una validissima ricetta per stare leggeri ed integrare vitamine e sali minerali. Da provare in futuro le kombu secche tritate ed usate per insaporire un bel pesciolone alla griglia.







Buon appetito!!! - 我祝你有一个好胃口!!!


 

lunedì 2 settembre 2013

L'ingrediente della settimana

Questa settimana, in previsione della maratona spezza-stomaco della Sagra delle Sagre di Asti il prossimo Sabato, ho optato per una ricettina leggera e rinfrescante.

Questo è il primo indizio:



La storia di questo piatto è legata ad una provincia cinese in particolare, e questo è uno dei suoi monumenti storici più eclettici.




Chissà, chissà...non ci resta che aspettare domani! =)


sabato 31 agosto 2013

Guo Tie (Ravioli attaccapentole) - 锅贴

Sono il cibo universale, dall'Argentina al Giappone via Italia e Polonia, non c'è cultura in cui un tizio, ad un certo punto, non abbia pensato bene di fare una sfoglia con acqua e farina, schiaffarci dentro generose cucchiaiate di ripieno e bollirli o friggerli a morte. La Cina, in questo settore batte anche la campanilistica Italia con le sue variazioni e ricette diverse tra città e città e tra città e campagna. Se ne contano, o meglio non se ne contano vista l'impossibilità di fare un censimento, centinaia di varianti diverse, i cui unici punti di contatto sono tre modalità di cottura: bolliti, al vapore o brasati. I ripieni come le farine e gli amidi usati per le sfoglie sono i più vari.

Ai tempi dell'università, amavo (ed amo) particolarmente questi guo tie o ravioli attaccapentole, ne ordinavo cinque/sei porzioni al cinese sotto casa. Una volta con dei coinquilini ho pure fatto una gara a chi ne ingurgitava di più: 39 e tutti a casa! Per me è il comfort food per eccellenza, insieme al risotto ed ai wurstel grigliati.

I guo tie sono un piatto della cucina pechinese, anche se ormai si trovano in tutte le province del Paese con ripieni diversi. E' un piatto dalla doppia cottura, croccante e fritto sotto, morbido e cotto al vapore sopra, da qui il nome cinese che ho tradotto in italiano come attaccapentole.
Essendo il piatto rituale con cui i cinesi del Nord festeggiano in famiglia il Capodanno lunare, nel ripieno è previsto il cavolo napa o il bok choy, che crescono da Novembre per tutto l'inverno. Non trovando ovviamente nessuna delle due verdure dai contadini cinesi a Porta Palazzo, ho ripiegato sulla versione estiva del piatto che prevede una verdura a foglie come le coste ed il tipico profumo dell'aglietto cinese, praticamente un'erba cipollina più grande e dal sapore che vira verso l'aglio piuttosto che verso il cipollotto. A Torino io lo trovo sempre sotto la tettoia dei contadini di Porta Palazzo, perchè ci sono dei ragazzi cinesi che hanno degli orti sullo Stura ed in Canavese e producono bellissimi ortaggi. Da altre parti non saprei, a meno che vicino a casa non abbiate un Asia Market con un reparto di prodotti freschi. Forse è meglio coltivarselo in vaso come l'erba cipollina nostrana...

Li trovate anche nei ristoranti cinesi più infami, quelli con la ventennale colonia di ratti in comodato d'uso perpetuo, le cappe in sciopero e l'olezzo di fritto.

Purtroppo, è usanza della maggior parte dei ristoratori cinesi (ma non di tutti)  giocare sporco: acquistare quintali di ravioli surgelati tutti uguali, stivarli nel congelatore e poi scongelarli e lessarli, senza tener conto della stagionalità dei prodotti agricoli e delle differenze di impasto per le diverse cotture. Poichè farli in casa non richiede uno sforzo maggiore a quello richiesto per la preparazione degli agnolotti nostrani, ho pensato che fosse interessante provarli e dare la ricetta.
 
~

Guo Tie (Ravioli attaccapentole) - 锅贴

Dosi per 4 persone

Per la pasta

250 gr di farina 00, 1 bicchiere e mezzo d'acqua bollente

Per il ripieno

350 gr di lonza di maiale, 300 gr di coste, 1/2 mazzetto di aglietto cinese, 1 cucchiaio d'olio di sesamo, 2 cucchiai di salsa di soia, 2 cucchiai di vino di riso Shao Xing, 2 cucchiai di zenzero in polvere o 8 cm di radice fresca, 1/2 bicchiere di brodo di pollo, 1 cucchiaio di maizena, sale, pepe nero

Per la salsa

1/2 bicchiere di salsa di soia, 4 cucchiai d'aceto di riso, 1 cucchiaino di olio al peperoncino o altra salsa piccante

~

Mettete a bagno per una notte in acqua fredda l'aglietto cinese, in modo che perda parte del suo afrore (se siete invece esenti da madre allium-fobica, basta la tradizionale ora d'ammollo sempre in acqua fredda). Su una spianatoia ponete la farina a fontana, poi versateci metà dell'acqua bollente. Impastate con la forchetta fino ad ottenere un composto un po' sbricioloso, unite la restante acqua e continuate la lavorazione a mano. Quando sulla spianatoia avrete una bella palla morbida e liscia, dividetela in quattro parti e fate riposare l'impasto per un'oretta, coperto da un canovaccio.

Intanto preparate il ripieno. Tagliate la lonza, prima a fette spesse mezzo centimetro, poi a listarelle larghe un dito ed infine a dadini. Tritate la carne abbastanza finemente con la mezzaluna e mettetela in una ciotola.
 
È meglio evitare la macinata, anche se più comoda, perchè quella che vendono è piena di grasso e la macinatura la rende un omogeneizzato, ben diverso dal gioco di consistenze originale che si ottiene con la macinatura mediante mezzaluna.
 
Scottate in acqua bollente per 10 minuti le coste, poi scolatele, strizzatele bene e tritatele grossolanamente. Scolate l'aglietto cinese e tritatelo con la mannaia cinese a rondelline minute. Unite la verdura nella ciotola della carne. Cominciate a legare l'impasto versandovi il brodo caldo, la salsa di soia, il vino di riso e l'olio di sesamo. Se l'impasto appare troppo brodoso, addensatelo con un cucchiaio raso di maizena. Infine, insaporite con lo zenzero, una macinata di pepe nero e regolate di sale. Se usate lo zenzero fresco, dovete tritarlo grossolanamente e metterlo a bagno con l'aglietto cinese per un'ora.
Riprendete l'impasto e da ogni quarto, tirate un cilindro lungo una ventina di centimetri. Dividete ogni cilindro in quattro grossi gnocchi. Appallottolate gli gnocchi uno per volta, poi schiacciateli leggermente col palmo della mano. 
Per tirare la pasta dei guo tie usate questa tecnica: con il pollice e due dita di una mano tenete la sfoglia leggermente sollevata e con l'altra mano impugnate un mattarello piccolo (il mio è lungo 30 cm e si trova facilmente dai casalinghi). Fate scorrere il mattarello avanti ed indietro e date un giro alla pasta per ogni volta che muovete verso l'interno il mattarello, facendo attenzione a non tirare troppo sottile il centro. All'inizio dovrete fare dei movimenti non troppo veloci per dare alla sfoglia una forma rotonda ma tipo all'ottavo raviolo farete molto più in fretta.

Mettete ogni sfoglia al centro della mano, deponeteci un cucchiaio raso di ripieno, poi piegateli a metà. A questo punto potete dar loro la forma che volete. Io che sono troppo maldestro per fare le pieghine della versione più famosa li ho semplicemente piegati a mezzaluna e saldati intrecciando un cordoncino di pasta. Ne ho provato a fare uno anche tondo, che assomiglia curiosamente ai nostri cappelletti, solo più grosso e che mi ha fatto sorridere quando l'ho visto su un sito cinese.

Se invece avete le mani con dita agili ed affusolate, potete cimentarvi nella chiusura classica: ripiegate a metà sul palmo della mano la sfoglia, poi piegate a portafogli i due angoli estremi e cominciate ad arricciare il lembo di sfoglia più vicino a voi. Bastano due pieghe a sinistra e due a destra. Unite i lembi al centro e pinzateli con le dita, poi fate lo stesso anche con il resto della sfoglia.

Fate scaldare un filo d'olio in un wok o kadhai a fondo largo, oppure in una larga casseruola col coperchio. Quando il fondo è caldissimo, mettete i guo tie uno vicino all'altro e fate abbrustolire il fondo per 2-3 minuti, massimo quattro. Poi copriteli fino ad un terzo della loro altezza con acqua e coprite il wok. Il vapore cuocerà la parte superiore dei ravioli per circa sei minuti. A questo punto scoperchiate e fate asciugare il liquido, se avete esagerato con l'acqua. Quando il liquido si è asciugato ed i ravioli cominciano a friggere di nuovo spegnete il fuoco e portateli in tavola. Conditeli con la salsa, preparata mescolando bene e lasciando riposare dieci minuti le tre salse base.

Non ho messo foto dell'impiattamento perchè: 1) non possiedo piattini e piattoni fighetti, 2) quando è pronto di solito mangio subito quanto ho cucinato...sapete mi piace la roba calda e non ho intenzione di perdere un quarto d'ora a girare e rigirare due bacchette ed uno scodellino mentre la cena si fredda.

Ricetta imbattibile: sono piaciuti pure a mio nonno, lombardo di vecchia stirpe, che giudica esotica e sospetta pure la pizza.





Buon appetito!!! - 我祝你有一个好胃口!!!

 

giovedì 29 agosto 2013

Ristorante San Bao - Voto: 16/20 - Chinatown

E' la prima volta, in tanti anni, che vedo Deneil visibilmente turbato e confuso di fronte ad un menu. Lui stesso mi aveva chiesto di andare a testare, per la prima recensione del blog, un posto buono: accontentato!
 
Cominciamo con il precisare una cosa: il San Bao non esiste. Non esiste sui social network, non esiste su Google Maps, non esiste nemmeno sulla carta stampata. E' comparso un giorno di un anno e mezzo fa, al posto di una saracinesca chiusa apparentemente da sempre. Probabilmente la sua posizione non aiuta la notorietà fra gli avventori italiani, avendo aperto dal lato sbagliato di Corso Regina Margherita, sull'angolo con piazza della Repubblica. Purtroppo, nella colpevole tolleranza comunale, una colonia di spacciatori, perdigiorno, ubriachi e sporchi magrebini si è insediata sui marciapiedi circostanti rendendo molesto transitare in quella zona. Probabilmente il DDT aiuterebbe...
Il parcheggio nelle ore serali è comodissimo sul controviale, anche di fronte al locale; mentre a pranzo, per la presenza del mercato di Porta Palazzo è impossibile parcheggiare e bisogna venire con i mezzi pubblici.
 
Il locale quindi è frequentato solo da cinesi, soprattutto ragazzi e coppie e non ha il vezzo di farti viaggiare in Cina con la fantasia: niente draghi con le palle in mano, niente lanternoni da bordello di Hong Kong, niente gatti sbraccianti, statue di plastica dorata del Buddha ed acquari. Ah no, l'acquario c'è ma serve per tenerci dentro i pesci che cucineranno quella sera: dubito che delle carpe ed un pesce gatto siano lì come ornamento. Insomma, tutta la paccottiglia etnico-folkloristica dei soliti ristoranti cinesi qua non trova giustamente dimora. Potrebbe essere un punto a favore se poi il locale fosse arredato un minimo, senza macchie d'umidità sul soffitto e senza l'ingombrante scala di metallo che sale alle cucine, in bella vista se ti siedi ad un tavolo nel disimpegno, come è successo a noi ieri sera. Per Diana, mettici un paravento intorno!
 
Per hobby faccio il mangione, non l'interior designer, quindi parliamo di cibo.
Essendo frequentato esclusivamente da clienti cinesi, il menu del San Bao è piacevolmente privo di pollo con le mandorle, pollo fritto, straccetti di carne vari con verdure varie e l'orribile gelato fritto. Solo il riso alla cantonese fa capolino, e può essere collocato tra i cosiddetti "classici"; ma anche questo regala la piacevole sorpresa di essere una variante autentica della sterminata varietà di risi fritti cantonesi nota come riso yeung chow, senza piselli e prosciutto cotto ma con i gamberi, il rosso d'uovo ed il maiale arrosto speziato (char siu).
Altra nota da pollice in su: non esiste praticamente il surgelato, spesso la cameriera vi dirà che una portata di pesce quella sera non è disponibile, semplicemente perché il cuoco non ha trovato gli ingredienti al mercato ittico che dista appena 150 metri in linea d'aria.
E' a questo punto che Deneil, che vi assicuro non essere una fighetta od uno sprovveduto della forchetta, sfogliando più volte le pagine del menu (organizzato per tipologia di cottura, alla cinese, e non come gli altri ristoranti cinesi che siete probabilmente abituati a frequentare), ha assunto un'espressione abbastanza disorientata. Ricche portate di crostacei e molluschi, stufati dai nomi esoterici, trippe e stomaci, parti di animali come lingue, teste e zampe che i nostri macellai non sanno più a chi vendere, di fronte ad una clientela resa schizzinosa da un effimero, e terminato, benessere. Si segnala la presenza di una ricca pentola mongola, i cui componenti erano però scritti in cinese ed io stupidamente non ho indagato, sarà per la prossima volta.
 
Ordiniamo, senza strafare con l'esotismo e ci sgargarozziamo giù due birre. Curiosamente mancano le marche di birra cinese, segno che quella broda allungata col seltz la gradiamo solo noi italiani.

Il servizio è alla cinese, ovvero anche se ordini una porzione per uno e la paghi come tale, la quantità arriverà sempre tarata sul numero di commensali a tavola: l'unica concessione alla cintura tesa è la possibilità di ordinare le zuppe piccole o grandi (non commettete l'errore di ordinarle grandi, vi porteranno una giara di zuppa o zuppa con pasta fresca). Man mano che le comande sono pronte, verranno portate tutte insieme a tavola, quindi se avete voluto esagerare con le ordinazioni, mo' so cazzi vostri a trovare spazio sul tavolo.
 
Arrivano i guo tie, i ravioli brasati tipici di Pechino e del Nord in generale. Sono un piatto apparentemente semplice e casalingo, ma di solito nei ristoranti cinesi vi rifilano la disgustosa versione industriale e surgelata. Qua la manualità del cuoco si vede tutta, nella dimensione dei singoli pezzi, leggermente difforme, nella grandezza delle pieghe e nel ripieno. Di solito le verdure usate per questa tipologia sono il cavolo napa o il bok choy che però si trovano solo d'inverno (o meglio, la loro stagione è l'inverno e se li trovate d'estate sono alquanto grami). Io che sono un maniaco li ho voluti aprire ed infatti non c'era il napa ma la guarnizione estiva costituita dall'aglietto cinese (è come erba cipollina solo dall'aroma più intenso). Fondo brasato il giusto e parte superiore morbida ma non molliccia.
Nel frattempo la cameriera, che parla italiano ma non fluentissimo, ci porta l'altro antipasto: medusa al vapore con funghi. Pur assomigliando alle caramelle Haribo, così traslucida e visivamente gommosa, devo dire che è stata una piacevole scoperta anche per me che non amo durelli e nervetti e che quindi avevo molti dubbi sul successo del piatto. Sapore lievemente agretto della julienne di medusa e dolcezza aromatica dei funghi tongku: piatto promosso con stupore.
Ormai imbaldanziti dal superamento della prova medusa, ci dedichiamo a portate più consistenti, prima lo stufato d'anatra con bambù secco e funghi mu ehr. A causa delle infime traduzioni del menu in italiano, pensavo che sarebbe arrivato il magro dell'anatra, non la pelle grassa! La doppia cottura ha però reso questo concentrato di lipidi soffice e burroso al palato e dal sapore piacevolmente dolce, che contrasta con la croccantezza del bambù e delle orecchie di Giuda. Applauso, inoltre, per la presentazione, con il brodo in eccesso intrappolato in una coppa capovolta, da alzare leggermente man mano che il piatto viene consumato (giochino da consigliare ad uno Scabin sobrio per il suo prossimo menu da 250 euri).
Pasta time! Tagliatelle di patate dolci saltate con germogli e fagiolini di soia, verdure e bacon croccante: un piatto gigante, fumante, di pappardellone (queste immagino secche per via della difficoltà del processo di produzione). Somigliano, per via dell'aspetto traslucido e dorato alla pasta di soia, ed hanno il vantaggio di essere adatte anche ai celiaci. Condimento bello abbondante e bacon come se nevicasse.
A questo punto, quasi sazi, cerchiamo di alleggerire il gioco, ingollando generose porzioni di zuppa di pesce tre tesori: preso com'ero dalla cena, non ho chiesto che di che pesce fossero i bocconcini all'interno, comunque la polpa era soda e carnosa, tipo quella della rana pescatrice. Una zuppa calda, profumata di zenzero e coriandolo, che non sfigurerebbe come apri-pasto in una cenetta.
Infine, i nostri stomaci dichiarano la resa incondizionata di fronte ad uno stufato di granchio e tofu fresco, che sobbolle riscaldato da uno scenografico fornelletto a carbonella, al centro del tavolo. Un bel granchione rosso, già tagliato e con il carapace spezzato dal cuoco, in un fumetto delizioso (a detta di Deneil, superiore alla zuppa stessa) che col passare dei minuti rende saporiti anche i normalmente insipidi bocconi di tofu fresco.
A fine servizio compare sulla tavola un piatto di melone, offerto dalla casa. I cinesi non hanno dei gran dolci, ed io personalmente non sono un loro estimatore.
 
Conto dei danni, al netto delle bevande (io valuto sempre i ristoranti senza considerare cosa ho bevuto, vista la variabilità in termini di prezzo): 15 euro a testa, poco in maniera imbarazzante per quanto e come abbiamo mangiato. Viva il San Bao!
 
 
Servizio: 4/4
Cibo: 8/9
Locale: 2/5
Effetti collaterali nelle 24 ore: No
Rapporto qualità/prezzo: Estremamente positivo
Voto: 16/20 - Chinatown
 
Menzione speciale per la cucina, se solo dessero un po' di vitalità all'ambiente, farebbe il botto.
 
Coordinate per i gastronomadi:
 
Ristorante San Bao
Corso Regina Margherita 134A
10152 - Torino (TO)
Telefono: 011.7652896
GPS: 45.077535, 7.681764
Linee GTT: 3 - 4 - 16CS
Chiusura: Sempre aperto

domenica 25 agosto 2013

Breve storia della ristorazione cinese a Torino

La comunità cinese di Torino è la più antica d'Italia e la terza d'Europa dopo Parigi e Londra, figlia di quegli operai cinesi importati durante la I Guerra Mondiale come lavoratori nelle fabbriche svuotate dai giovani, soprattutto francesi, mandati a concimare le trincee. E' ancora possibile, per i più curiosi, visitare il primo negozio cinese aperto in città: si trova a Porta Palazzo, sotto la Galleria Umberto I, ed è ancora interessante specialmente per i giochi da tavolo orientali e le ceramiche.
Ad essa si aggiunsero poi le ondate degli anni '60-'70 provenienti da Hong Kong e dalle comunità di profughi cinesi del Sudest asiatico sconvolto dalle guerre, e degli anni '90 dalla Cina costiera.
 
Il mondo dei ristoranti cinesi in città ha subito, nel corso dei decenni, diverse evoluzioni, senza la comprensione delle quali non se ne capiscono le caratteristiche di oggi. A cavallo tra gli anni '70 ed '80 aprono i primi locali storici: King Hua, Hong Kong, Mister Hu, Via della Seta e Zheng Yang. La cucina ed i prezzi erano su livelli non proprio popolari e, forte la loro novità e rarità, costituivano un vero ed esotico diversivo alla stagnante situazione gastronomica degli anni cupi.
All'inizio degli anni '90, i successi commerciali dei pionieri spingono altri imprenditori cinesi a buttarsi nell'industria della ristorazione. L'offerta è più che decuplicata ed i prezzi crollano a fronte di una concorrenza agguerrita in tutte le circoscrizioni. L'altro lato della medaglia è però un generale abbassamento della qualità e del decoro dei locali. I cuochi di questa generazione sono in maggioranza autodidatti ed ex contadini, emigrati in Occidente in seguito alle espropriazioni di Stato nella provincia cinese di Zhejiang, luogo di provenienza del 95% della comunità orientale di Torino. Tra la seconda metà degli anni '90 ed i primi anni del XXI secolo la marea montante dei kebabbari si sostituisce al ristorante cinese come fornitore di pasti easy ed a basso costo nei quartieri come in centro. Molti dei cinesi aperti durante il boom chiude o, meglio, riconverte i propri investimenti per seguire la nuova moda ed impiega personale magrebino od egiziano.

Nel fermento e nella rinascita di Torino degli ultimi anni si assiste a due trend separati: la sostituzione completa (nel caso del Hong Kong, diventato Sakura) o parziale di nomi storici della ristorazione cinese con menù giapponesi e dai risultati perlopiù modesti e la mancanza di aperture di nuovi locali.
Il settore soffre, a mio avviso, di una certa letargia rispetto alla doverosa evoluzione verso una ristorazione di qualità, che punti sulla tradizione più autentica delle cucine regionali, sull'uso di ottime materie prime e su una strategia di marketing che dissipi la nebbia di stereotipi che ancora avvolge i ristoranti cinesi.
 
Fa ben sperare la recente apertura, in aree residenziali ad altissima concentrazione di cittadini cinesi, di ristorantini che offrono autentiche specialità tradizionali, avendo come target dei connazionali.
 
Vedremo...